L’Anno 2000 è segnato dal sacrificio di 30 martiri missionari, missionarie, seminaristi, volontari: quasi 3 al mese. Le situazioni in cui essi hanno trovato la morte ricalcano la mappa dei bracieri infuocati del pianeta: l’Africa Centrale, dove i diamanti e l’oro valgono più della vita; l’Asia dei fondamentalismi islamici e indù; l’America Latina delle guerriglie e della droga; l’Albania delle mafie e del commercio di clandestini. La mano che ha ucciso questi martiri non è soltanto quella del bandito, del disertore o del fanatico fondamentalista. Le situazioni in cui essi hanno trovato la morte sono un condensato di “connivenza globalizzata”: all’Africa dei banditi e delle malattie contribuisce anche un occidente interessato a questo continente solo per le materie prime; il fondamentalismo islamico delle Filippine o dell’India sono anche il risultato di ingiustizie dei governi, un frutto dell’indifferenza mondiale verso la libertà religiosa. Tutto questo va detto non per sterile denuncia, ma per ridare speranza. Per noi cristiani, infatti, la morte dei martiri è segno che anche nelle situazioni più incancrenite e alla deriva c’è chi opera, vive e muore. Il martirio è il seme più fruttuoso anche per tanta politica internazionale, che sembra alla deriva e impotente.