VATICANO - Il Superiore generale della Consolata: "Allamano insegna che la missione è di Dio"

sabato, 19 ottobre 2024 missione   animazione missionaria   evangelizzazione   santità  

Missioni Consolata

I missionari della Consolata a Luacano, in Angola

Roma (Agenzia Fides) - "Il fatto che Allamano sia proclamato santo è per noi una grazia straordinaria e una immensa gioia. Cantiamo oggi il nostro Magnificat, riconosciamo che il Signore ha fatto grandi cose per noi", dice all'Agenzia Fides Padre James Lengarin IMC, religioso kenyano, Superiore Generale dell'Istituto Missioni Consolata (IMC), alla vigilia della canonizzazione di don Giuseppe Allamano (1851-1926), presbitero italiano, fondatore delle congregazioni dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, che è tra i santi che saranno proclamati in piazza san Pietro domenica 20 ottobre.

"E' la conferma che quanto Allamano ha vissuto e insegnato, il suo patrimonio spirituale, viene da Dio, ed è una preziosa eredità per noi e per tutta la Chiesa universale", prosegue. "Questa certezza ci fa andare avanti con fiducia e speranza; per la famiglia religiosa della Consolata è una conferma della nostra vocazione missionaria: questa è, come diceva Allamano, una vocazione prima a essere santi, poi missionari". Nel cammino, allora, ricorda il Superiore, "l'essere viene prima dell'operare. Questo è il lascito di Allamano, perchè la missione è di Dio, non opera nostra. Da uomini e donne innamorati del Vangelo, ripieni dello Spirito Santo, possiamo essere testimoni e annunciatori del Regno", nota.

Il Superiore generale rimarca tre aspetti peculiari dell'insegnamento di Giuseppe Allamano: "La mansuetudine, quella mitezza che significa essere dolce, gentile, privo di violenza, docile alla volontà di Dio e che si manifesta nei momenti di conflitto e difficoltà; l'Eucaristia come sorgente della missione: significa consegnare a Dio le fatiche di ogni giorno e rendere grazie a Lui per ogni cosa; l'uscire da se stessi e dalla propria zona di comfort e andare da chi non conosce Gesù. La nostra chiamata è vivere tutto questo nel 'qui e ora', nel nostro tempo, nel nostro secolo, nei luoghi dove siamo", osserva.

Questo, aggiunge, "significa essere missionari di speranza: la Consolazione è il nostro nome, il nostro carisma. Siamo chiamati a uscire da noi stessi e andare verso le periferie, a distaccarci dall'egoismo per andare incontro ai diseredati ed emarginati". Inoltre è una chiamata a "una qualità di vita religiosa e spirituale. Siamo attenti a non farci trascinare dall'apparenza, dai beni materiali, dalla preoccupazione per il denaro o dalla fame inesauribile di conoscenza. Siamo chiamati a distaccarci da tutto questo ed essere ancora oggi 'contro corrente', come è stato Allamano nel suo tempo. La nostra unica strada è lasciarsi attrarre da Cristo, povero e crocifisso".

P. James Lengarin porta alcuni esempi di vita missionaria all'interno del suo Istituto religioso: "In Madagascar abbiamo cinque missionari in una missione sperduta all'interno del paese, lontana dalla città, dove per 6 mesi l'anno si resta bloccati nell'acqua e nel fango: una vita davvero difficile. In Angola una situazione simile si vive nella missione di Luacano, dove due missionari vivono in condizioni di estrema precarietà, lontano da tutto e privi dei servizi essenziali. In Venezuela i nostri missionari sono accanto ai migranti , restano lì a condividere la vita di stenti della popolazione, nell'instabilità sociale e politica: condividono il pane e la mancanza di pane con la gente. La loro presenza dona la consolazione del Signore. In Asia vorrei citare le piccole comunità disperse nelle steppe immense della Mongolia: sono davvero comunità di frontiera, in territori sperduti dove si incontrano persone che non hanno mai sentito nominare Cristo".

"Sono tutte esperienze di 'Chiesa in uscita', di annuncio ad gentes: i missionari vivono in luoghi dove nemmeno i governi e le istituzioni statali arrivano, spesso dove non c'è scuola, sanità, acqua. In quei luoghi si dà una testimonianza del fatto che non contano apparenza e bellezza, esteriorità e benessere: conta la fede, con lo stare con la gente, stare con Gesù e donare il suo amore . La missione è distaccarsi da questi apparati culturali e strutturali e nutrirsi solo di Dio: è, in primis, un cammino di uscita da se stessi", rileva il Superiore Genrale.

Nell'Istituto dei Missionari della Consolata "già negli anni formazione siamo educati e preparati ad andare dove non c'è niente, per trovare il nostro Tutto. Siamo educati e stare tra la gente cui basta poco per vivere, e lì troviamo un tesoro, l'essenziale, che è Dio stesso. Certo non mancano difficoltà, prove, sofferenze legate alle condizioni di vita, all'estraneità di lingua e cultura. Ma proprio questa è la vocazione e la vita missionaria: andare agli estremi confini della terra, tenendo il Signore come unica roccia. Allamano esortava i missionari a 'essere poveri per arricchire gli altri' . Con questo spirito diamo tutto quello che siamo e, uniti a Lui, confidiamo nella Provvidenza e nell'aiuto del Signore". (PA) (Agenzia Fides 19/10/2024)


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