di Gianni Valente
Homs (Agenzia Fides) - «E’ iniziato un nuovo tempo per la Siria. E è di nuovo un tempo difficile».
L’Arcivescovo Jacques Mourad parla con calma, come sempre. Il monaco della comunità di Deir Mar Musa, figlio spirituale di padre Paolo Dall’Oglio, nel 2015 visse mesi sotto sequestro dei jihadisti dello Stato Islamico. Forse quell’esperienza che ha reso ancora più trasparente il suo sguardo cristiano sulle cose. E oggi come Arcivescovo siro cattolico di Homs, le cose che vede e che sente sui nuovi patimenti della Siria non collimano con la rappresentazione mediatica prevalente, soprattutto in Occidente. Quella che racconta di un “regime change”, un cambio di regime riuscito e in via di assestamento, con nuovi leader di matrice islamista in cerca di accreditamento internazionale, dopo lo schianto del blocco di potere coagulatosi per oltre 50 anni intorno al clan degli Assad.
Nel racconto mediatico prevalente, ad esempio, non compare la violenza diffusa e la paura che hanno ripreso a tingere le giornate di buona parte del popolo siriano. Una violenza - ammette Jacques Mourad – che «sembra una trappola in cui cadono tutti quelli che qui conquistano il potere».
Nelle ultime settimane - spiega all’Agenzia Fides l’Arcivescovo siro cattolico di Homs – ci sono persone che spariscono, le prigioni si riempiono, «e lì dentro non si sa più chi è ancora vivo o chi è morto». Ci sono torture inflitte in pubblico a quelli accusati di connivenza col regime che è crollato. E anche «diversi casi di giovani cristiani minacciati e seviziati sulla strada, davanti a tutti, per incutere terrore e costringerli a abiurare la fede e diventare musulmani». Crimini che avvengono lontano da Damasco, dove sono concentrati i giornalisti.
Le cose non vanno bene, e padre Mourad ha l’impressione che «nessuno può fare nulla» per uscire da questo nuovo tempo di paura e vendetta. «Io - racconta - accolgo le persone. Provo a incoraggiare, consolare, chiedo di aver pazienza, cerco soluzioni. Nel periodo di Natale - aggiunge l’Arcivescovo Jacques - ho fatto un giro nelle nostre 12 parrocchie, anche quelle nei villaggi. Per incoraggiare, a custodire insieme la speranza. Ci sono stati incontri belli con diversi gruppi. Ma quando le violenze aumentano, le nostre parole e i nostri inviti alla pazienza non riescono a convincerli».
Il Cardinale Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, ha da poco visitato la Siria come inviato del Papa, per testimoniare la vicinanza del Successore di Pietro alle comunità cristiane. Che vivono questo momento della martoriata vicenda siriana con un carico aggiuntivo di preoccupazioni, rispetto a quelle sofferte dagli altri siriani.
«Il regime di prima - spiega padre Mourad - si presentava come quello che difendeva i cristiani. Dicevano: se andiamo via noi, ritornano i fanatici. Adesso, molti sacerdoti sono pessimisti sul futuro, La mia risposta è sempre la stessa: in ogni caso, la situazione rimane imparagonabile a quella di prima, quando ci sono stati crimini inimmaginabili. Ma da quando sono accadute le nuove violenze, c’è chi dice: “hai visto, è vero quello che diceva Bashar al Assad”. Il risultato è che adesso, ancora più di prima, tanti cristiani non vedono altra strada che emigrare. Andare via dalla Siria. E per noi è difficile dire che dobbiamo vivere nella speranza. Ci proviamo, ma le persone non credono ai nostri discorsi. Quello che vivono e che vedono è troppo diverso».
Nelle chiese, dal crollo del regime di Assad, per molti versi tutto sembra continuare come prima: messe, processioni, preghiere e opere di carità. I nuovi detentori del potere non hanno imposto regole coercitive che colpiscano in qualche modo la vita ecclesiale nella sua ordinarietà. Il capo riconosciuto Ahmad Sharaa, noto anche come Abu Muhammad Jolani, leader da gruppo armato jihadista Hayat tahrir al Sham e auto-proclamatosi il 29 gennaio Presidente “ad interim” della Siria, incontrando padre Ibrahim Faltas e i Francescani alla fine del 2024 aveva avuto parole di stima di Papa Francesco, aggiungendo che i cristiani espatriati durante e dopo la guerra civile dovranno tornare in Siria. Le violenze subite da giovani cristiani sono avvenute con attacchi a singole persone. Però – riferisce Jacques Mourad - quando sono iniziate le requisizioni delle armi, a essere disarmati sono stati i soldati cristiani e quelli alawiti. Nessuno ha tolto le armi ai sunniti. «E la realtà» aggiunge «è che non c’è un governo. Ci sono gruppi armati, diversi tra loro. Alcuni sono fanatici, altri no. E ognuno ha il suo potere e impone la sua regola, nei territori che controlla. E di armi ne hanno tante, ora che hanno preso anche quelle del vecchio regime». Anche lui, come altri Vescovi, ha incontrato rappresentanti delle nuove forze che dominano il campo. Discorsi rassicuranti, ma poi le cose non cambiano.
Jacques Mourad dice che non sa come le cose possono andare avanti. Intanto, lui continua a camminare.
«Noi – dice - continuiamo la nostra vita come parrocchie e come diocesi, giorno per giorno». Dallo scorso aprile, l’Arcivescovo era diventato responsabile del catechismo per tutta la Siria. Anche allora la situazione era grave: niente lavoro, società e comunità cristiane ancora stravolte dalle conseguenze della guerra.
«Ho pensato che la cosa da fare, la cosa più importante, era ripartire dai bambini. Si può ripartire solo dai bambini e dai ragazzi, dopo che la guerra ha come cancellato tutto. E, insieme a loro, ripartire dalle cose essenziali, primordiali».
Sono stati ricostituiti i comitati regionali per lavorare insieme sulla formazione dei catechisti, perché «tanti di quelli con esperienza erano andati via. Ora ci sono i giovani, che hanno entusiasmo, ma devono ancora fare un cammino spirituale e di formazione catechistica e biblica». Si sono unite le forze: le diocesi, i Gesuiti, la Bible Society, «per iniziare a cammino insieme. Ringraziamo il Signore, perché tanti giovani mostrano tanto desiderio, tanto coraggio e generosità». E lo stesso vale per le liturgie, e per la ripresa dei pellegrinaggi, verso Mar Musa e tutti gli altri monasteri, «per far rifiorire la memoria, in questa situazione di povertà e sofferenza, che rimane gravissima. E vedere se qualcosa rinasce, come un nuovo germoglio». (Agenzia Fides 31/1/2025)