photo Paolo Andrea Valente
Abu Dhabi (Agenzia Fides) – Quella della Penisola Arabica è una “Chiesa formata da migranti”, dove tutti vivono con la sensazione che ci sia sempre "qualcosa che manca", a partire dalla propria Patria e dai propri cari lontani. Ma questa percezione può diventare “un’opportunità”, in primis per aprirci gli uni agli altri, e, allo stesso tempo “questa condizione” può far avvertire con più intensità la sorgente e il dinamismo propri della speranza cristiana, "una speranza che non ci delude perché è radicata nell’amore di Cristo, un amore irrevocabile, un amore eterno”.
Così il vescovo francescano cappuccino Paolo Martinelli, Vicario Apostolico dell’Arabia meridionale, scrive nella lettera pastorale rivolta alle comunità cattoliche presenti nel Vicariato d’Arabia del Sud, che si estende su Oman, Yemen ed Emirati Arabi Uniti, in occasione del Giubileo Ordinario della Chiesa cattolica.
Il Vescovo Martinelli, riallacciandosi ai fsttori distintivi - il pellegrinaggio e la speranza - che connotano questo tempo giubilare, fa emergere le molte similitudini che accomunano i migranti ai pellegrini: “Siamo chiamati oggi a essere pellegrini di speranza” perché “un pellegrino attraversa le avversità della vita sapendo che Dio non lo abbandona mai. Essere pellegrini ci ricorda che siamo migranti. E come un pellegrino, anche un migrante è sempre in cammino”.
“Viviamo in questa parte del mondo, lontani dalle nostre case e dai nostri Paesi d'origine. Siamo una Chiesa di migranti, proveniamo da oltre cento nazioni diverse. La nostra vita qui dipende da molte circostanze che non sono sotto il nostro controllo. Ma proprio in queste situazioni, siamo chiamati a vivere con maggiore passione il ruolo di pellegrini della speranza”, rimarca il Vescovo, che cita il numero 13 della bolla Spes non confundit nella quale il Pontefice ha chiesto “segni di speranza anche per i migranti, che lasciano la loro terra natale in cerca di una vita migliore per sé e per le loro famiglie. Le loro aspettative non devono essere frustrate dal pregiudizio e dal rifiuto”.
Essere migranti, continua Martinelli, “significa sempre affrontare delle limitazioni”, come l’assenza delle famiglie. “Anche se qui riceviamo molto aiuto, non possiamo avere tutto ciò che avevamo nei nostri Paesi d'origine” e questo fa capire a tutti noi “la temporaneità della vita”.
“Vi invito a vivere la vostra realtà di migranti in questa terra d’Arabia come parte del vostro pellegrinaggio verso il Regno dei Cieli, sostenuti continuamente dalla speranza cristiana. Siamo fatti per la felicità eterna; non lasciamoci ingannare dai beni temporanei”, prosegue il Vicario Apostolico.
“La migrazione di massa" scrive ancora il Vicario apostolico "sta cambiando il volto delle società e della Chiesa. Essere consapevoli di questo cambiamento epocale e vivere da migranti e pellegrini della speranza ci porta a vivere intensamente e in armonia la nostra appartenenza a una Chiesa composta da persone provenienti da molti Paesi diversi, promuovendo al tempo stesso la pace e la solidarietà nella vita sociale. In questo modo, uniti nella diversità, possiamo essere un segno profetico del Regno di Dio”. Martinelli rimarca anche che proprio quest’anno ricorrono i 1700 anni dalla celebrazione del Concilio di Nicea, durante il quale fu definito “il Credo che recitiamo ogni domenica. Ancora oggi è riconosciuto da tutte le Chiese e denominazioni cristiane. Ricordarlo ci spinge a lavorare per la promozione dell'unità tra tutti i cristiani”.
“Vi invito a vivere con vigore questo Anno Santo della speranza. Vi incoraggio a partecipare agli eventi del nostro Vicariato, in particolare nelle chiese giubilari (vedi Fides 10/1/2025) e quelli internazionali previsti a Roma”, conclude il Vicario Apostolico dell'Arabia meridionale. (F.B.) (Agenzia Fides 7/2/2025)