Johannesburg (Agenzia Fides) – Sono almeno 78 i minatori illegali che hanno perso la vita nel sito aurifero di Stilfontein, in Sudafrica, dopo che nell’agosto 2024 la polizia ha bloccato l’ingresso della miniera per costringerli a uscire e a consegnarsi alle autorità.
Finora sono quasi 2.000 i minatori illegali uscita dalla miniera da agosto dell'anno scorso quando le autorità sudafricane hanno preso la decisione di bloccare il sito minerario per contrastare il fenomeno del diffuso commercio minerario illegale, che secondo il Ministro delle miniere è costato all'economia sudafricana oltre 3 miliardi di dollari solo nel 2024.
Chi è emerso dalla miniera ha descritto una situazione infernale. Il sito minerario è costituito da un pozzo verticale che scende sottoterra per circa 2,6 km. Quando la polizia ne ha bloccato l’accesso i minatori si sono trovati privi dei rifornimenti di cibo ed acqua che venivano calati attraverso il pozzo dai loro complici. Decine di persone sono morte di stenti; l’olezzo dei loro cadaveri si mischiava all’odore dei vivi che da mesi erano privi della possibilità di lavarsi.
Tra le persone che si sono arrese alla polizia c’è pure il presunto capo della bande di minatori illegali, un cittadino del Lesotho, noto come “Tiger”. Questi però non è stato trovato nella cella di sicurezza del commissariato dove era stato recluso. Una fuga che fa sospettare complicità tra i poliziotti.
L’evasione di “Tiger” alimenta i sospetti di un vera e propria rete criminale che da anni saccheggia alcune delle 6.000 miniere abbandonate del Paese, ricche di oro, alla ricerca di giacimenti rimasti. Si tratta di siti che le grandi società hanno abbandonato perché non più profittevoli da sfruttare industrialmente ma che sono ancora in grado di essere “spremute” ricorrendo a manodopera sottopagata da parte di organizzazioni criminali.
Sul dramma di Stilfontein era intervenuto a inizio gennaio Mons. Sithembele Anton Sipuka, Vescovo di Mthatha che in una nota affermava come “la saga dell'estrazione illegale di Silfontein è una questione troppo complessa”. “Riguarda il sistema economico che presumibilmente consente alle grandi compagnie minerarie di farla franca per il modo in cui realizzano il massimo profitto, distruggendo l'ambiente e non migliorando la vita delle persone nell'area mineraria, mentre allo stesso tempo, reprime i poveri che cercano di guadagnarsi da vivere”.
“Include la questione della legalità quando si tratta di persone che entrano illegalmente nel Paese, poiché si sostiene che la maggior parte dei minatori illegali siano cittadini stranieri. Poi, c'è la questione delle associazioni criminali che usano persone povere per fare enormi profitti. Infine, c'è la questione dei minatori illegali intrappolati che si rifiutano di uscire dalle miniere o sono costretti a rimanere sottoterra”.
Secondo il Vescovo di Mthatha mentre l’attenzione mediatica è concentrata sulle azioni del governo “non si dice molto sulle compagnie minerarie che hanno lasciato queste miniere non riabilitate e accessibili a chiunque. La legge dovrebbe ritenerle responsabili. Inoltre, dovrebbe essere esplorata la possibilità di riutilizzare le vecchie miniere per la creazione di nuovi posti di lavoro”.
“La polizia, mentre gestisce l'attuale crisi delle persone intrappolate che sono solo soldati semplici, dovrebbe indagare sulla presunta organizzazione dietro tutto questo e farla processare” conclude Mons. Sipuka. (L.M.) (Agenzia Fides 21/1/2025)