Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Dopo aver meditato sugli incontri di Gesù con alcune figure dei Vangeli, Papa Francesco, continuando il ciclo di catechesi dedicato alla vita di Cristo letta alla luce dei temi dell'Anno Santo, inizia un nuovo filone, dedicato alle parabole di Gesù. Si tratta di "racconti che riprendono immagini e situazioni della realtà quotidiana", spiega il Pontefice nel testo diffuso solo in forma scritta per l'Udienza generale che avrebbe dovuto tenere oggi, e "per questo ci provocano. E ci chiedono di prendere posizione: dove sono io in questo racconto?".
Il Vescovo di Roma analizza quindi quella che lui stesso definisce "la parabola più famosa, quella che tutti noi ricordiamo", ovvero quella del figlio prodigo: " In essa troviamo il cuore del Vangelo di Gesù, cioè la misericordia di Dio".
L’evangelista Luca, spiega il Papa, "dice che Gesù racconta questa parabola per i farisei e gli scribi, i quali mormoravano per il fatto che Lui mangiava con i peccatori. Per questo si potrebbe dire che è una parabola rivolta a coloro che si sono persi, ma non lo sanno e giudicano gli altri. Il Vangelo vuole consegnarci un messaggio di speranza, perché ci dice che dovunque" e "in qualunque modo ci siamo persi, Dio viene sempre a cercarci!".
Il Pontefice invita a riflettere sui comportamenti dei due figli. Entrambi, infatti, si sono persi: "Il più giovane perché si è stancato di stare dentro una relazione che sentiva come troppo esigente; il maggiore perché non basta rimanere a casa se nel cuore ci sono orgoglio e rancore".
"L’amore", fa notare il Vescovo di Roma, "è sempre un impegno, c’è sempre qualcosa che dobbiamo perdere per andare incontro all’altro. Ma il figlio minore della parabola pensa solo a sé stesso. Come tutti noi ha fame di affetto, vuole essere voluto bene. Ma l’amore è un dono prezioso, va trattato con cura. Egli invece lo sperpera, si svende, non si rispetta. Se ne accorge nei tempi di carestia, quando nessuno si cura di lui. Il rischio è che in quei momenti ci mettiamo a elemosinare l’affetto e ci attacchiamo al primo padrone che capita".
Sono queste esperienze, aggiunge il Papa, "che fanno nascere dentro di noi la convinzione distorta di poter stare in una relazione solo da servi, come se dovessimo espiare una colpa o come se non potesse esistere l’amore vero". E infatti il giovane, solo "quando ha toccato il fondo, pensa di tornare a casa del padre per raccogliere da terra qualche briciola d’affetto".
In realtà, sottolinea il Pontefice, "solo chi ci vuole veramente bene può liberarci da questa visione falsa dell’amore". Cita poi un'opera di Rembrandt, che nel dipingere il ritorno a casa di questo giovane raffigura "la testa rasata, come quella di un penitente, ma sembra anche la testa di un bambino, perché questo figlio sta nascendo di nuovo. E poi le mani del padre: una maschile e l’altra femminile, per descrivere la forza e la tenerezza nell’abbraccio del perdono".
Ma è il figlio maggiore, fa notare il Vescovo di Roma, "che rappresenta coloro per i quali la parabola viene raccontata: è sempre rimasto a casa con il padre, eppure era distante da lui, distante nel cuore. Questo figlio forse avrebbe voluto andarsene anche lui, ma per timore o per dovere è rimasto lì, in quella relazione. Quando però ti adatti contro voglia, cominci a covare rabbia dentro di te, e prima o poi questa rabbia esplode. Paradossalmente, è proprio il figlio maggiore che alla fine rischia di rimanere fuori di casa, perché non condivide la gioia del padre". E il padre "esce anche incontro a lui. Non lo rimprovera e non lo richiama al dovere. Vuole solo che senta il suo amore. Lo invita a entrare e lascia la porta aperta".
"Quella porta rimane aperta anche per noi. È questo, infatti, il motivo della speranza: possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta", conclude il Papa. (F.B.) (Agenzia Fides 16/4/2025)